giovedì 31 dicembre 2015

Il fotografo

Oggi tutti hanno un amico fotografo. Quando ero piccolo si andava al fotografo per qualsiasi foto istituzionale. Il fotografo si poteva permettere l'affitto di un locale in centro, era sempre ben vestito, un'aria da intellettuale perenne anche se aveva solo il pensiero fisso per le donne nude, ed una vita dignitosa. Oggi il fotografo è uno che nella vita principalmente si occupa di tutt'altro, che invade i social e la tua vita quando incroci la sua, di discorsi su lenti, angolazioni, fuochi e altro, che fotografa anche una semplicissima cena a casa passando tutta la serata a fare foto, guardarle sul display della macchinetta, a pubblicarle sui social, a controllare il social per constatare quanto la foto stia piacendo in quel momento al suo pubblico personalissimo, che lo fa godere quando acclama le sue creazioni modificate con photoshop dopo notti intere di lavoro. Perché la fotografia è una passione per carità, ma non è esibizionismo, è voglia di mettere le proprie creazioni che poi saranno viste e probabilmente daranno opportunità lavorative. Certo potrebbe essere, ma nella maggior parte dei casi è solamente un vezzo, una voglia di vanità che difficilmente il fotografo ammetterà. Sì perché se provi a chiederglielo "lui lavora" è sui social proprio per il discorso foto, mica per altro?fosse per lui si cancellerebbe, dal mondo del web, ma è una vetrina importante dal quale non puoi fuggire. Allora ti capiterà l'amico che vuole fotografarsi con la moglie che ha il pancione al modico prezzo di 300 euro stampe incluse, (ci mancherebbe aggiungerei), ti capiterà di andare a documentare una promessa di matrimonio all'eremo di San Bartolomeo, rischiando di perdere 15 ore della tua vita (ben pagate per carità) a decidere la colonna sonora di quell'emozionante pomeriggio o meglio ancora ti capiterà di andare nelle discoteche, e nei posti mondani a fare le foto per il locale alla gente che si diverte una sera e che muore dalla voglia che quel divertimento sia documentato e spiattellato in prima pagina, quasi dovesse essere una notizia da riportare. Ma la tendenza vuole, al contrario di quello che io immagino, che durante una serata dove decidi di farti un po' i cazzi tuoi seduto ad un tavolo con un amico a bere anche una semplice ed anonima birra spillata e mischiata con acqua, fai di tutto per apparire davanti all'obbiettivo del fotografo di turno con una faccia totalmente indifferente, abbracciato a persone al quale pochi minuti prima hai stretto la mano timidamente presentandoti per la prima volta, dando un'immagine del momento totalmente capovolta. Tipo la campagna per arruolare i marines per le spedizioni in Vietnam. Ma il fotografo ama questo mondo, lo cavalca, è insensibile, innamorato del dio denaro e della sua macchinetta e gode nel vedere nei suoi protagonisti tanta voglia di fama, anche istantanea. Il fotografato si sente importante, ma il fotografo in quel momento pensa di essere un Istituto Luce in piccolo che cattura nel tempo quella memoria sicuramente indispensabile per i posteri e per il protagonista. 

mercoledì 1 luglio 2015

Mi dai una sigaretta?

Se una tranquilla domenica di mare, ti trovi sul marciapiede della riviera per una semplice passeggiata con tuo figlio ed il carrozzino incontri un ragazzino che ti chiede le sigarette. In quel momento preciso vedendo l'aspetto innocente e tenero gli indichi il primo rivenditore senza dargli troppa importanza. Poi dalle pagine dei giornali del giorno successivo, capisci che quel ragazzino subito dopo il tuo incontro, con la stessa scusa, ha picchiato tre coetanei senza conoscerli, con un casco e l'aiuto di altri eroi solo per il gusto di farlo e derubarli delle poche cose che un ragazzo uscendo dal mare può possedere in quel momento. Addirittura con un casco spacca gli incisivi ad un ragazzo, che fino a pochi secondi prima teneva la mano alla sua ragazza pensando di tornare a casa tranquillo, dopo una giornata di mare. Questo essere, esteticamente discutibile, gobbo già a 18 anni che a prima vista non spaventerebbe nemmeno una cucciolata di gattini, si fa aiutare per spaccare la faccia alla gente per noia. Stuzzicando anche l'umore di padri di famiglia come me, che per un semplice equivoco non sarebbero in grado di trattenere la calma se in qualche modo la sicurezza del suo piccolo bambino fosse turbata, anche se solo da un alterco con un gruppo di ragazzini. Quando avevo la sua età, parlo di 15 anni fa, la noia era combattuta con la droga. I ragazzi disadattati, fuori da determinati schemi sociali, fuori dai contesti scolastici, sportivi e di quartiere, evadevano dirigendosi verso le mete facili che la droga (e parlo di fumo ed erba non di eroina)offriva. Si creava una sorta di marchio di appartenenza, che voleva dire trasgressione ed evasione dal pulito, dal convenzionale, eri un ribelle tenuto a bada da un filtro ed una cartina, stordito per pochi soldi e qualche ora al tiro di qualche spinello. Ora la droga ha perso questa sua funzione, che magari faceva dormire sonni tranquilli ai genitori, ai passanti e ai vicini. "Quelli si fanno le canne" dicevano passando, il ragazzo di turno gonfiava il petto, si sentiva fiero della sua posizione da emarginato nella società. Chi lo diceva si sentiva forte di quel giudizio passando la mano tra i capelli del suo bambino più piccolo che mai avrebbe affrontato quella realtà, lui sarebbe stato lontano da certi pericoli. Certo, a farli restare lontani dalla droga ci siete riusciti, li controllate, li esaminate al rientro pomeridiano dalla piazzetta, analisi continue, blocco delle paghette in caso di positività. Nemmeno i medici del Giro D'Italia sono così pedissequi nel cercare presunte irregolarità. Il fatto che però tuo figlio 18enne sia in giro a giocare al knock out game accumulando punti con le vecchiarelle e le ragazzine ti fa dormire tranquillo. A limite fa del male a qualcun altro, ma lui non se ne fa. E' vero le generazioni non saranno mai uguali alle altre, forse starò diventando vecchio, ma questa generazione è quella dei codardi.

mercoledì 15 aprile 2015

Ma quando non c'era tu che facevi

E' stupido parlarne sempre, ma non è un volersi mettere al riparo dal problema ma più che altro è cercare di superarlo. Non per forza forse, visto che ci siamo precipitati e forse siamo già atterrati da un pezzo. Analizzarlo come un problema è davvero la strada giusta?o forse sarebbe meglio pensare che prima o poi ci si abituerà, di conseguenza annoierà e si passerà ad altro. Diciamo che il mio intento non è quello di risolvere il problema, ma nemmeno forse di raccontarlo, è più che altro trovare una via alla consapevolezza del mutamento di alcune abitudini umane.
Lo smartphone sempre incollato su quel palmo della mano. Sempre con quel pollice che scorre, altre volte con l'indice dell'altro mano (nella modalità rookie direbbe qualcuno).
Fila alle poste: separazione netta tra la linea giovane adulta e anziana. L'anziano si guarda attorno perplesso, schifato perché la circostanza glielo impone. I giovani, gli adulti, spulciano i propri messaggi, ne creano di nuovi, intavolano discussioni più o meno produttive a livello cerebrale, per ingannare quell'attesa che in alternativa sarebbe stato cosa?qualcuno si ricordava cosa era prima la fila alle poste? io ricordo che era un vagone di pensieri su ogni argomento. Favole fantastiche confezionate al momento, cullate dal famoso riscaldamento tropicale dell'ufficio postale. Ricordo ancora quando scavavo nelle vite delle persone che erano appena davanti a me, cercando di immaginare qualche diverbio con la figlia o la vicina di casa su quella bolletta condominiale da pagare tenuta in mano, catturare lo sguardo di quell'anziana donna su quella coppia di giovani che si baciano fuori in piazza aldilà del vetro: cercare di farle vestire i panni del suo primo bacio e dipingere il paesaggio circostante. Ovvio questo sono io, personaggio turbato, osservatore fino al midollo, eterno sognatore. Una persona avrebbe guardato magari le rughe sulla faccia, si sarebbe immaginato anziano, avrebbe cercato di immaginare i suoi problemi deambulatori nel futuro. O forse avrebbe semplicemente pensato a qualche cosa nuova da fare: ad un'attività sportiva, ad un amico che non vede da tempo, ad una zia che non ha più risentito, invece magari si trova a conversare sul gruppo whattsapp di non si sa quale origine, su una specie di gossip elaborato sotto forma di battuta spiritosa o aneddoto.
Passeggiata al parco con il cane: guinzaglio alla mano, telefono sull'altro palmo. Il cane passeggia annusa, scodinzola è felice. E noi proprietari di cani viviamo di quella faccia che sembra sorridere, quella che il nostro cane ha quando usciamo a passeggio. Ma noi siamo al telefono ad impegnare quei minuti in qualcosa di produttivo (o almeno così pare) cercando compagnia che allo stesso tempo sottraiamo al nostro animale. Non sono di certo un etologo, ma tutti sappiamo che il cane ha bisogno di complicità del padrone, sempre soprattutto quando è fuori. Spesso ce ne freghiamo, però ci interessa maggiormente sapere cosa il nostro amico abbia fatto durante il martedì sera.
Guida in macchina: la macchina per me è stata sempre una stanza musicale tutta per me. Musica giusta magari da abbinare al paesaggio attraversato, danza sul sedile in ogni caso. Volume quasi sempre oltre la norma. Ma il viaggio anche se breve, mentalmente è sempre stato uno spazio di organizzazione necessario per il momento in cui si arriva. Oggi la maggior parte di noi approfitta di quel tragitto per chiamare qualcuno che in quel momento ha 106 piatti in testa mantenuti in equilibrio, o il colloquio di lavoro più importante della loro vita. Magari è così, magari no, ma l'educato risponde sempre, il maleducato richiama quando va meglio a lui, l'indifferente non sente il telefono. E anche in quei casi si tratta di una telefonata esclusivamente per sentirsi, per non perdere le distanze tra quelle vite altrimenti distanti.
Il peggio, il mio malessere interiore: la spesa al supermercato. Mamme con bambini che guardano il telefono magari per controllare quei milioni di gruppi alla quale sono iscritte. Quelle della scuola, quelle della torte, quelle degli outfit, quello delle vecchie amiche, quello esclusivamente dedicato al gossip locale. E quando non controllano il telefono durante la spesa parlano con un'amica, dell'ultimo messaggio criptato su facebook di quella signora, quella frase a cui voleva rimandare con quel gioco di parole a chi era diretto?sì perché oggi ci si offende indirettamente tramite gli stati di facebook facendo intendere alle persone offese, con giri di parole, che quei bei complimenti tra le righe sono rivolte proprio a loro. Ma l'aspetto triste che durante queste guerre esistenziali o generazionali chi lo sa, c'è un bambino nel carrello, o nella mano opposta a quella che regge il telefono, che si guarda in giro senza nessuno che gli parla, senza nessuno che interviene se magari prende un giocattolo e lo porta fino alla cassa pensando di comprarlo. 

I camminatori

Con l'arrivo di Marzo e del primo caldo primaverile la nuova specie che da qualche decennio popola le nostre strade riprende il suo stagionale brulichio. Così come le rondini, le farfalle, questa migrazioni di esseri prende il sopravvento, senza alcuna regola, sul nostro paesaggio urbano. Iniziano ad invadere qualsiasi tratto stradale (qualcuno dice di averli visti anche sull'asse attrezzato), con la loro andatura molle ma decisa, piena di brio ma anche un po' dimessi: solamente pochi porteranno a compimento il loro iniziale progetto, come gli spermatozoi non tutti saranno in grado di raggiungere la fine sani e salvi. Cari amici parliamo dei cosiddetti "camminatori". Per chi non li conoscesse, i camminatori sono quelle persone che terminato l'inverno passato a mangiarsi ogni sorta di materiale solido, decidono di rimettere in moto il loro corpo, che va in affanno anche nella discesa normale del letto. Non andranno al mare per sfoggiare i loro fisici, i camminatori amano il fresco dell'aria condizionata d'estate, a limite l'ombra di un grande albero, devono solo sentirsi meglio per affrontare la stagione più calda perché in quella stagione, per una sorta di maleficio divino, i vestiti sono più corti e stretti e le rotondità sono più in evidenza. Li incontri a qualsiasi ora, vestiti con dei completini quechua dai colori improponibili (forse perché presi a 5€ come ultime taglie invendute), occhiali da sole anche con la pioggia, smanicato tecnico di otto taglie in più e delle scarpe tirate fuori dalle soffitte insieme ai vecchi ricordi, quando almeno uno sport nella propria vita era contemplato. I più teneri sono quelli che si riuniscono in gruppi di 3 o 4 dopo un tam tam durato giorni sugli smartphone, così come gli scimpanze in lotta, hanno bisogno di farsi coraggio l'uno con l'altro. Se mai doveste ritrovare uno smartphone con un gruppo whattsapp intitolato "CAMMINARE" allora sappiate che un camminatore ha perso il suo telefono e senza potrebbe rimanere bloccato dentro casa davanti ad una trasmissione su real time. In genere potrete trovarli su qualsiasi strada nel periodo marzo/aprile, a Maggio sono più che rassegnati alcuni naturalmente prossimi alla morte, già dalle prime ore del mattino. Con l'alzarsi del sole, verso le undici della mattina sono la fortuna dei baristi e dei pasticcieri. Si riuniscono per cercare di soffocare la loro fatica con paste e bignè di ogni tipo.

martedì 10 marzo 2015

Quella notte di quel giorno sei nato tu

"Lillo ho rotto le acque". Ti sei messo a letto alle 2  di quel sabato sera, dopo esserti passato in rassegna tutti i gol della B, il Pescara sconfitto in casa dalla Ternana e l'attesa della fine del servizio per vedere la tua squadra del cuore capitolare nello stadio in cui quel pomeriggio non sei potuto andare per via del primo monitoraggio (e fortunatamente l'ultimo). Una notte come tante altre, lei che dorme affianco a te con quella montagna sulla pancia, tu che la guardi come ogni notte, la senti respirare sapendo che lì dentro c'è qualcuno che un giorno ti parlerà di qualcosa e di qualcuno come se niente fosse. Ripensi a quella notte, (quale ancora non si capisce bene) se in America o in Italia, e alla gioia e l'amore, che con quella creatura affianco a te dovrai ancora finire di vivere.. Alle 2 quella frase mi butta giù dal letto. E come nel film dove Gerry Calà si ritrova nudo in un millisecondo alla proposta di fare all'amore con Sabrina Salerno, mi ritrovo vestito davanti a quel letto, spaventato ed emozionato di quella avventura che durerà più di 24 ore. E' notte ed è sabato. La strada fino all'ospedale è l'ambientazione di un fumetto, tombini che fumano, un imponente cielo pieno di nuvoloni carichi di pioggia, un buio romantico, illuminato dai nostri sguardi con gli occhi allampanati che si incrociano come a volersi chiedere e rispondere "sta succedendo proprio ora?". Sì perché ne avevamo parlato mille volte di questa notte dell'emozione e del suo impatto, perché sapevamo che sarebbe avvenuto di notte. L'idea che ci eravamo fatta era vicina ma anche lontana. Vicina l'idea dell'emozione/paura per quello che sapevi o non sapevi che l'immediato ti regalasse, tutte quelle nozioni del corso preparto, le accortezze, i minuti, le contrazioni, i dolori le spinte la respirazione. Lontana l'emozione che ti avrebbe riportato in quella casa a pochi giorni di distanza con un terzo incomodo che fino a prima non avevi considerato fino in fondo. L'arrivo in ospedale degno di un marines che serve passo dopo passo quanto insegnatogli in accademia. Parcheggio all'interno del pronto soccorso, valigia nella mano, aria tranquilla nei confronti della futura madre, paure ed emozioni nascoste a lei dentro di te, come quando riordini la camera buttando tutti i vestiti sotto il letto. Il Pronto Soccorso è quello del sabato sera, ragazzi abbandonati su delle panchine,chi è sdraiato a terra, chi non si riesce a riprendersi nonostante sonori sganassoni. Si sono presi di tutto e, fino a qualche giorno prima li avresti osservati passando col sorriso di chi vuole fargli una carezza e dirgli "succede a tutti", ora invece li guardi con il terrore, con gli occhi del padre, di quel padre svegliato nel cuore della notte (sono le tre nel frattempo) per essere avvisato che suo figlio, quello per cui io proverò un'emozione interminabile è al pronto soccorso. Quella notte molti padri a Pescara si emozioneranno per la nascita di un figlio, altri saranno trafitti dal dolore, svegliati dalla notizia che il loro è al Pronto Soccorso. Non pensiamoci oggi, faremo in modo di non farlo succedere un domani. Facciamo un passo alla volta, siamo ancora al punto di partenza. Entro in reparto, dove per il personale è tutto normale, come una gita in barca. Infermiere che sorseggiano thè mentre le gestanti emettono urla disumane, la mamma per il momento se la ride pensando che fra qualche ora lei sarà al posto di quelle donne, e quelle donne al posto di chi ha già partorito da giorni, insomma la catena ospedaliera. "Gentile papà può tornare a casa a dormire se vuole, dalla rottura delle acque possono passare diverse ora prima del travaglio." "Guardi aspetto fuori, preferisco sono più tranquillo." Non so se col senno di poi rifiuterei di nuovo il consiglio. Fatto sta che passare tre ore a camminare su e giù per un corridoio ti tempra come un soldato in addestramento. Ore 8 mi fanno entrare. L'hanno fatta mettere a letto a riposare. Le contrazioni sono regolari ma manca ancora per la dilatazione. Una PROM ordinaria, in quelle situazioni pensi di poter conseguire una laurea in medicina in pochi giorni. Cerco di schiacciare un pisolino, ma devo prendere le analisi dalla ginecologa che ovviamente di domenica mattina alle 8 è a casa a farsi i fatti suoi. I primi scompensi li avverto in quella guida verso la sua casa fortunatamente a pochi chilometri dall'ospedale. Non dimenticherò mai la Dottoressa nel cortile del suo palazzo, sotto una pioggia incessante, vestita e truccata come se dovesse partecipare alla notte degli Oscar con le analisi della mamma in mano. Torno in ospedale. E' ancora presto, manca molto. Mi mandano a comprare gli assorbenti. "Compra gli assorbenti per una donna che sta per partorire!!". Lo segno su un biglietto. Quando arrivo alla Coop con la testa distrutta, ricorderò sempre la faccia di quella signora che magari stava scegliendo qualcosa per la sua menopausa, a cui ho chiesto aiuto, che mi ha consigliato percependo il mio precario stato mentale. Era l'inizio del delirio. Torno e nel frattempo la trovo in un altro reparto, in attesa delle contrazioni ma soprattutto di questa benedetta dilatazione che tardava ad arrivare. Nel letto affianco la stanza della mamma, un caso umano che non riporterò per la tristezza che comporterebbe. Iniziano le vere contrazioni ed il suo vero lamento. Da quando inizia a dire ad alta voce "Datemi l'eroina" accompagnandosi spesso con peti fragorosissimi, inizio a pensare che siamo entrati nello stadio in cui la donna perde ogni sorta di freno inibitorio. Conoscendo il soggetto, una che se si scioglie difficilmente si raccapezza all'albero, mi aspetto di tutto. E' un tipo tosto ed alle 17, a dilatazione iniziata ci dicono che possiamo trasferirci in sala travaglio. Sono già 14 ore di ospedale, quasi tutte senza sonno, senza riposo, con molta ansia addosso, i primi segni di cedimento iniziano ad arrivare nei primi insulti che nella fase Goblin investe la futura madre. Sì perché quando le contrazioni non ci sono parlo con la donna della mia vita, emozionata dall'evento più bello, sapendo che nulla potrà essere equiparabile a quanto sta provando. Durante le contrazioni parlo con un mostro che al minimo segno di debolezza vuole mangiarti e sputarti per terra con un lupino. Ricordo ancora quel "lasciami stare" urlato con la voce di Ozzy Osbourne seguito da quello "scusami" tenerissimo e dolcissimo, "scusami" una parola che ha usato con me sempre con molta ponderazione. Non voglio fare uno sketch comico, ci sarebbe da scrivere per anni . Voglio solo scrivere per far rimanere impressa nella memoria il "Metti tutto a posto" riferito all'ostetrica che veniva incitata a far smettere il travaglio, la gravidanza tutto. Il desiderio di far tornare tutto allo stadio zero. Altra perla "dottoressa io ho il soffio al cuore e sono a rischio infarto" detto con una lucidità da primario del Policlinico Gemelli che in quel momento stupisce l'ostetrica che quasi ci crede. Ineguagliabile la risposta all'incitamento della pazientissima ostetrica Manuela "Forza Benedetta sei bravissima" "io non voglio essere bravissima, non me ne frega!". Manca poco, ci consigliano di passeggiare, farle fare una doccia per riscaldare la zona lombare (esperienza mistica in cui io, trovato il punto esatto d'innaffio, mi inzuppo i pantaloni come un pescatore di trote). Non ce la facciamo più, il sonno la rende sempre più debole, io se chiudo gli occhi riesco a sognare anche in tempi molto brevi tipo un secondo. Ultimo controllo, ci siamo quasi: comincia a tornarti la forza, ti danno il camice verde, e stai per entrare, stai per vedere per la prima volta tuo figlio. Tuo figlio. Se provi a far risuonare insieme queste due parole nella tua testa la prima volta ha lo stesso effetto della prima sbronza. Emozione, stordimento, paura consapevole. Prima lo dicevi, ma vedevi tutto come una cosa lontana, inarrivabile, pensavi che i figli fossero degli altri e basta, i bambini belli e divertenti ma poi quando ti stanchi te ne vai a casa. Camice verde indossato, cappelletto verde da pirla, copri scarpe sistemate con cura, vuoi che tuo figlio sia contaminato da qualche maledetto germe che porti sotto quelle scarpe. "tuo figlio" lo dici ancora, quante altre volte lo dirò? Mi chiamano, posso entrare. Lei in piena sofferenza, mi vede arrivare, le do la mano ed un bacio, è stato un momento bellissimo. Non sono momenti che servono alla coppia, sono momenti che costruiscono la coppia, necessari, indispensabili alla natura mammifera dell'uomo. Si vede la testa, mi scende una lacrima. Non ho pianto, io di solito mi commuovo anche con i cartoni animati, nemmeno la mamma che non è proprio un vero leone in tema di sensibilità verserà alcuna lacrima. Gli ultimi sforzi, lei finalmente libera, esce un esserone nero, capelluto, con un'espressione di sofferenza che mi rimarrà impressa per tutta la vita. Ora quando lo vedo piangere penso a quel momento e mi commuovo come una signorina. Lei continua a ripetere come una donna che fa un incidente in macchina e rimane in stato di shock per qualche minuto" hai visto che abbiamo fatto???quello è nostro, lo abbiamo fatto noi!" uno scultore su una roccia quella notte non sarebbe riuscito ad imprimere così tante immagini, così come ha fatto per me la nascita di Brando. Lui in quella copertina verde, che mi guardava, mi fissava la barba, rimaneva in silenzio ancora nella posizione fetale, palesemente spaventato dall'ambiente circostante diverso rispetto a qualche minuto prima. Esco da quella stanza come se avessi passato l'esame più importante della mia vita col massimo dei voti. Petto gonfio come un gallo da combattimento, sguardo fiero, andatura sicura. Da quel momento il padre, un padre, forse qualsiasi o forse no, si sente meno solo e diverso. Sa che dentro la sua testa, in un angolo dei suo pensieri c'è sempre un figlio. In background, in sovra impressione, al centro, in cima, in stand by, ma c'è sempre. E' quel legame che rende continua la linea della vita, che non la fa interrompere mai, è quello che l'amore continua, nonostante tutto, ancora a fare bene. 

giovedì 5 marzo 2015

Le frasi fatte per sentito dire

Internet ha dato la possibilità a tutti di esercitare il proprio lessico,permettendo agli audaci scrittori per sbaglio di mettersi in mostra davanti al vasto pubblico che la rete occasionalmente offre. Un po' come me che scrivo sapendo che poi a rileggere questi post sarò io tra qualche anno. Proprio perché voglio congelare nel tempo certe mode stilistiche odierne che non se qualcuno mai si ricorderà fra tipo dieci anni. Situazioni al limite del paradosso, ma che dico il paradosso a confronto è una consolazione. Prendo spunto ovviamente dal palcoscenico comico per eccellenza al giorno d'oggi. L'amatissimo quanto odiatissimo Facebook. Stilo la mia personale classifica di gradimento dell'ultimo periodo:

1)"Devo volere più bene a me stessa/o prima di sapere se posso amare qualcuno". A parte il dibattito filosofico che l'argomento potrebbe scatenare, ma andando ad analizzare la tua vita di ragazzo/a che ama divertirsi, senza spingersi in epiteti da moralista di provincia, cosa vuoi dire che devi amarti di più?che devi fare l'amore allo specchio?che non devi coprirti da solo di insulti la sera quando rientri ubriaco?pensi che il tuo io sia un cane a cui far sentire maggiormente la tua presenza?vorrei tornare indietro nel tempo per vedere se mia nonna nei periodi no con mio nonno avesse mai utilizzato una frase del genere per far capire il suo stato d'animo. Mentre magari tornava da una giornata di lavoro in campagna, sulla strada di casa, mia nonna zappa sulla spalla si gira verso mio nonno Peppe e dice "non so se ti amo perché non so se voglio bene a me stessa". Chissà

2)"Politici di merda perché non pensate a riportare a casa i Marò!" a parte che mi pare lecito avere un'opinione personale sul fatto premettendo che tutti possiamo più o meno essere informati e capire la questione a 360 gradi. E' normale che nessuno conosce bene l'accaduto quanto il Ministero degli Esteri le ambasciate e le autorità competenti, tutti dovremmo essere in grado di capire che la nostra opinione può essere relativa e forse solo un argomento di discussione pari al gol in gioco o fuorigioco di una partita di serie A. Ma invece chi fino all'anno scorso pensava che Marò fosse lo sponsor del Napoli di Maradona oggi si sente la persona più vicina a questi disgraziati che stanno in India stipendiati dallo Stato con chissà quali indennità, non in carcere ma chissà dove a non fare un beneamato cazzo. Perché questo è un grande problema della politica, mica la pressione fiscale, il fatto che passi per le strade con buche di 110 metri, che vai all'asl e aspetti tre mesi per una radiografia, il nostro problema sono i Marò che non tornano a casa. Questi Marò innocenti che avrebbero dato alle famiglie dei pescatori 300mila euro a titolo di consolazione. Si sono tanto consolati che poi hanno ritirato la denuncia.

3)La questione immigrati/immigrazione: colpire il più possibile credendo che chi traversa il mediterraneo per venire da noi (In Italia poi) è uno che viene a fare la bella vita campato dallo stato. Oddio tutto può essere ,ma quelli che pensano che questi stranieri siano contenti di fare certe scelte di vita per sopravvivere alla povertà del loro paese credo che un po' si sbaglino. Ma a prescindere da ciò se sei contro questo sistema dovresti avere l'interesse di informarti del perché ciò avviene. Cioè siamo un paese completamente allo sbaraglio, con un tasso di disoccupazione tra i più alti d'Europa, ma secondo te perché questi arrivano in Italia?è solo un fatto riconducibile ad una loro disinformazione sulla vera realtà che trovano in Italia?o forse loro sanno meglio di te e di me cosa andranno a trovare nel nostro paese, forse criminalità, forse prostituzione, forse una vita di sacrifici fatta di elemosina e accattonaggio. Se il tuo paese questo fosse oppresso da qualsiasi forza negativa (e noi non siamo lontano da questo stato di cose) tu non avresti voglia di evadere di andare a cercare fortuna da qualsiasi altra parte?non è anche questo che muove le forze economiche, la politica economica, ma forse mi sto arrampicando sugli specchi

mercoledì 13 agosto 2014

Le lanterne

Proprio ieri ero in fila alle poste, mattinata di agosto abbastanza calda, una di quelle in cui l'afa è terribile e trovi ogni tipo di essere umano in ferie vestito con il tipico abbigliamento del cazzeggio. Pantaloncini costume, anche se al mare non vai o al massimo ti fermi allo stabilimento, maglietta con l'intramontabile scritta Italia, infradito o ciabatte da censurare, marsupio, occhiali da sole sulla testa, e imperterrito tirare su con il naso con rimbombi in tutto l'ufficio postali con scatarrate in sordina. Ovviamente questo capolavoro di buone maniere decide di ingannare il tempo telefonando ad un caro amico che,probabilmente, anche lui si sente a disagio nella situazione di ferie e di perfetta solitudine e sembra, a sentire la sua voce dall'apparecchio nel silenzio dell'ufficio postale, gustarsi la telefonata come un bellissimo di rete 4. Il genio inizia dichiarando subito la sua pessima dizione "ieri sera avem schtat alle Hawaii a fa la serata". Provandoci a parlare italiano, per darsi un tono perché questi locali sono esclusivi. Le Hawaii, un locale della riviera di Pescara dove in un preciso giorno della settimana (credo il martedì) la gente spende 20€ per una cena striminzita, due cocktail sciacquati con quintali di ghiaccio (quelli buoni te li fanno pagare 10€ l'uno dopo che ti è salita la voglia) ed una serata danzante. 20€ che non è poi tanto. Poi ci sarà qualcuno che sicuramente apprezzerà ma non è quello il punto. Il punto è che questo tizio nel pieno del suo racconto sembra quasi voler portare l'interlocutore verso un gran finale a sorpresa. Io all'inizio credo che l'epilogo di un racconto sia un'orgia, una retata della polizia con conseguente rissa, insomma una cosa eclatante. Invece lui "A Marie (Mario) a nu cert mument c'hann dat le cannel quell di capodann l'avem appicciat e c'avem messa a ballà......nu macell". Per chi non riesce a capire "Mario ad un certo punto ci hanno dato quelle candeline scintillanti tipiche del capodanno, si siamo messi a ballare, il delirio." Chiude la telefonata con un'adrenalina, nemmeno avesse fatto la deposizione di un pluriomicidio. Gli sbircio il documento che aveva in mano. Oltre al nome e cognome leggo la data di nascita. 1977. Anni buttati e portati di merda.